"MISSIONI" ANGLOAMERICANE IN VALTELLINA - 1945
Giuseppe Rocco


Un amico francese mi ha fatto leggere recentemente il testo di tre relazioni tenute nel corso di una riunione a Venezia, cui partecipavano numerosi ex componenti delle cosiddette "missioni'' che gli "alleati'' inviavano nel territorio della RSI. Missioni divenute più frequenti negli ultimi mesi di guerra, in zone montuose non presidiate dalle nostre FF.AA., allo scopo di aiutare i partigiani a liberare le nostre città e le nostre valli dai fascisti e dai tedeschi che "seviziavano e terrorizzavano le popolazioni''.
Le relazioni si riferiscono in particolare all'attività delle "missioni'' denominate "Santee'', "Spokane'' e "Sewanee'' in Alta Valtellina, nei mesi di marzo e aprile 1945. Gli angloamericani lanciavano armi solo in Alta Valle, perché non si fidavano dei partigiani della Basse Valle, troppo impregnati di comunismo.
Con una fervidissima fantasia, favorita probabilmente dalle libagioni del convivio e dalla lievitazione dovuta al tempo trascorso, Michael A. De Marco descrive le peripezie di tre O.G. (Gruppi di Osservazione o Gruppi Operativi). A fine aprile, i componenti di queste "missioni'' erano circa trenta, paracadutati nella Valle di Livigno a partire dal 4 marzo fino alla metà di aprile. Questi Gruppi, coadiuvati da pochi (secondo lui) "sprovveduti'' partigiani locali, in seguito armati ed addestrati, riuscirono a costringere i Comandi italiani, tedeschi e francesi a ritirarsi, liberando così tutta l'Alta Valle e di conseguenza tutta la provincia di Sondrio.
Ritengo che a questo punto sia necessaria una precisazione: il De Marco accenna indirettamente al timore che i primi "lanciati'' avevano di essere catturati da elementi ostili e consegnati alle autorità della RSI, per ottenere qualche ricompensa. Questi oriundi degeneri (dai cognomi si intuisce che erano figli di italiani) dovevano sapere che in Italia il barbaro costume delle taglie non esisteva ancora. È stato anche quello un regalo dei "liberatori''.
Una seconda considerazione di carattere specifico è che la Valle non venne liberata da nessuno. Le Forze Armate del legittimo governo repubblicano e quelle nostre alleate erano impegnate in particolari operazioni di polizia contro ribelli sobillati da stranieri. Esse subirono tante imboscate, ma un solo attacco frontale, e mai furono costrette ad arretrare a causa di azioni nemiche.
La cosiddetta "liberazione'' avvenne quando, in seguito alla mancata resistenza tedesca sul Po ed alla imminente invasione dell'Italia Settentrionale da parte degli angloamericani, il governo della RSI aveva ordinato di cessare le ostilità. In particolare, nell'Alta Valtellina tutti i reparti ricevettero, il 26 aprile, l'ordine di rientrare. Allora scesero i "liberatori''.
La sera del 25 aprile erano ancora efficienti: il presidio di Isolaccia in Valdidentro, a difesa degli impianti idroelettrici di Cancano; il presidio di Bormio della Gnr, comandato dall'aiutante Iozzelli; il presidio di Grosio della GNR, comandato dal S. Ten. Ravot e quello della Brigata Nera "Gatti'' comandato da Giorgio Pisanò; un Battaglione di formazione composto da Gnr, Brigate Nere, Guardia del Duce, Confinaria, Alpini del Comando di Sondrio, formanti una linea dalla località Roncale al passo della Foppa (o Mortirolo), dove si collegava con la Legione "M'' Tagliamento schierata in Valcamonica.
Tale Battaglione, comandato dal Maggiore Vanna della Gnr di Frontiera, aveva il compito di provvedere per gradi alla "ripulitura'' di tutta l'Alta Valle; dalla linea di Mazzo era in attesa dell'ordine di procedere ad un secondo balzo fino all'altezza di Sondalo e Val Rezzalo. A questa formazione era stato aggregato un Battaglione della Milice Française, al comando del Capitano Carus, presente il Ministro degli Interni del governo di Vichy, Joseph Darnand, e la B.N. "Gentile'' rimasta di presidio a Tirano.
La superiorità numerica dei fascisti consentiva di bloccare le infiltrazioni dalle convalli, come la Valgrosina collegata con Livigno e con la Svizzera, e quelle di sinistra collegate con la Valcamonica, dove operavano le Fiamme Verdi ed altre formazioni di partigiani bergamaschi.
* * *
Le esagerazioni contenute nelle relazioni hanno inizio già con la presentazione delle condizioni meteorologiche che, contrariamente a quanto affermato dagli americani, non erano più rigide come nell'inverno appena trascorso, bensì in marzo le giornate erano miti e soleggiate, fino al 26 di aprile.
Senza nulla togliere al valore dei veri partigiani che difendevano le proprie idee pagando di persona, va rilevato che l'attività offensiva degli O.G. in Alta Valtellina fu ben poca. Il Maggiore Lorbeer e il Capitano Vic. Giannino, a quanto afferma De Marco, distribuirono grandi quantità di armi lanciate in Valgrosina, località Eire, ma organizzarono solo due azioni vere e proprie. Una fu l'imboscata a due Compagnie di francesi che dovevano spostarsi da Tirano a Grosio. Il 13 aprile due gruppi di partigiani li sorpresero all'altezza della centrale elettrica, causando diciotto morti e facendo saltare un camion di armi e viveri. I legionari della Milice poterono comunque raggiungere Grosio, lasciarvi una Compagnia e rientrare a Tirano.
L'altra azione fu tentata contro l'ala sinistra delle nostre linee (costituì l'unico vero e proprio attacco frontale da parte di una formazione partigiana) fra Roncale e San Martino, con l'intento di aggirare tutto il nostro schieramento. Obiettivo non raggiunto per la saldezza del plotone O.P. del Tenente Paganella e della B.N. fiorentina "Manganiello''. Chi scrive, arrivato col Maggiore Vanna da qualche minuto, non aveva ancora assunto alcun comando, per cui partecipò al combattimento con due giornalisti e un portaordini. Per l'occasione, i partigiani indossavano una specie di divisa, costituita da tute da netturbino appena giunte dall'America. Ricordo ancora chiaramente il coraggio col quale avanzavano fino alle nostre postazioni, a colpi di bombe a mano.
Dopo quel giorno non vi furono più attacchi, ma un continuo martellamento di mortai da 100 mm. e colpi di cecchini da posizioni più elevate delle nostre. Era diventato quasi un gioco: noi alzavamo l'elmetto con un bastone, ed immediatamente arrivava il colpo del cecchino.
La mattina del 26 aprile ci fu un rapporto ufficiali al Comando di Mazzo ed il Maggiore Vanna ci comunicò di aver ricevuto, dal Generale Onori, l'ordine di rientrare a Sondrio, dopodiché si interruppero i contatti.
Nella notte facemmo tutti i preparativi, scendemmo dalla montagna e, sotto la pioggia, arrivammo a Tirano dove, caricati su camion, partimmo alla volta di Sondrio. Bloccati a Madonna di Tirano da un'imboscata, lasciammo gli autocarri e alcuni feriti, e verso sera sfilammo lungo il greto dell'Adda. Un tentativo di fermarci a Stazzona non ebbe alcun esito, per cui raggiungemmo Ponte in Valtellina, sede del Comando della 3.a Legione Confinaria dalla quale dipendeva il Maggiore Vanna.
Alle cinque del pomeriggio i partigiani portarono a Mazzo un nostro colonnello prigioniero con l'ordine di resa del Battaglione. L'ordine venne rifiutato. Volevamo riceverlo di persona dal Federale. Dopo circa un'ora arrivarono il Generale Onori e il Federale Parmeggiani con il capo comunista Maio. Il Battaglione, venuto a conoscenza della situazione generale, accettò di arrendersi, dopodiché cominciarono le bastonature e le sevizie.
A Tirano erano rimasti i Francesi e la Brigata Nera "Gentile'', che si arresero il giorno successivo, dopo parecchie ore di sparatorie dalle finestre e dopo aver appreso che tutta la provincia aveva cessato le ostilità.
Come si vede, i partigiani liberarono la Valtellina dopo che i fascisti l'avevano lasciata.
Quanto sopra, non per rivendicazioni polemiche, ma per la verità storica.


I dettagli di quelle giornate sono descritti nel libro "Com'era Rossa la mia valle'' dello stesso Autore. Per quanto riguarda la Milice del Comandante Darnard, vedi il n. 187 di Nuovo Fronte (novembre 1998).


NUOVO FRONTE N. 193 Giugno 193

 

 

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