LE MENZOGNE STORICHE SUI FATTI DELLA
BENEDICTA
I giornali hanno dato ampio rilievo all'iniziativa del Pm militare di Torino
tesa ad indagare sui fatti della «Benedicta» (1944) per mettere sotto accusa i
protagonisti. I protagonisti, s'intende, di parte tedesca o della RSI. La
consacrata prassi deontologica professionale mi vieta di formulare giudizio
mentre è in corso una procedura giudiziaria. Però non mi impedisce di denunciare
le idiozie storiche e militari scritte dalla maggior parte degli articolisti. Si
legge quasi ovunque - specialmente nelle agiografie postbelliche della parte
vincitrice - che poche centinaia di partigiani furono attaccati da una forza
mista, italo-tedesca, di oltre 20.000 uomini. Al tempo, un battaglione poteva
contare approssimativamente 800 uomini, e tre battaglioni formavano un
reggimento.
Dato che la RSI aveva mantenuto la formazione ternaria del Regio Esercito, tre
reggimenti - due di fanteria ed uno d'artiglieria - formavano una divisione. Di
conseguenza, se un reggimento poteva esser formato da circa 2.400 uomini, una
divisione poteva contarne -più o meno- 7.200.
Se fossero esatte le cifre tramandate ai posteri ignari, all'operazione avrebbe
dovuto partecipare una forza, sul campo di tre divisioni (6 reggimenti di
fanteria e 3 d'artiglieria), presupponenti un supporto base-logistico,
approvvigionamento viveri, munizioni, salmerie - non inferiore, con
approssimazione abbondantemente per difetto, a 1.800 uomini. Se Kesselring e
Graziani avessero avuto un esercito tanto potente da potersi permettere il
distacco d'una forza di tre divisioni soltanto per un'azione locale di
rastrellamento, non v'è dubbio che gli anglo-americani sarebbero stati
ricacciati dall’ltalia. Per concludere: i miei ricordi, i racconti dei
protagonisti e le valutazioni di alcuni storici, inducono a calcolare la
consistenza delle forze attaccanti in 1.800/2.000 uomini.
Una seconda puntualizzazione, per un sereno giudizio, sembrerebbe opportuna sui
fatti che diedero origine all'operazione militare, il più scatenante dei quali
fu questo: dopo una serie di colpi di mano nell'entroterra ligure, il 12 (o il
13) gennaio 1944, i partigiani garibaldini (cioè delle formazioni comuniste)
avevano catturato otto soldati della RSI in servizio disarmato in un posto
d'avvistamento aereo sul Monte Zuccaro e li avevano fucilati.
Le formazioni «ribelli» che operavano al confine ligure alessandrino erano a
quel tempo costituite da due bande o «brigate»: la brigata militare
“Alessandria”, comandata dal capitano dei granatieri Gian Carlo Odino (nome di
battaglia: «Italo»), badogliano di stretta fede monarchica, e la «31a brigata
garibaldina Liguria», comunista, comandata dal capitano degli alpini Edmondo
Tosi (“Ettore", ma praticamente agli ordini del commissario politico Rino
Mandoli, («Sergio»). Le due brigate - la prima di circa 200 uomini, la seconda
quasi del doppio - avrebbero dovuto contrastare le forze avversarie, con azione
combinata e congiunta, in Valle Stura ed in Valle Scrivia.
La brigata «Alessandria», retrocedendo secondo i piani, ripiegò verso un
cascinale detto «La Benedicta», mentre la «3a Liguria» si volatilizzava.
La spiegazione che ne danno alcuni storici è quella di un piano preordinato
dalle alte sfere comuniste per sbarazzarsi comodamente di reparti partigiani non
allineati col Pci, ma ormai credo che sia troppo tardi per conoscere la verità.
Fu così che il capitano Odino, alla «Benedicta», organizzata la resistenza sul
settore di sua competenza, si trovò, con i suoi uomini male armati,
completamente circondato. I partigiani della sua brigata, purtroppo, furono
ritenuti responsabili degli episodi (come quello di Monte Zuccaro) messi in atto
dalle bande garibaldine, dato che gli attaccanti - trovando in zona, come
avversari, soltanto loro - ebbero ragione di credere che non vi fossero in loco
altre bande e che soltanto essi fossero responsabili di tutte le azioni
pregresse, compiute, dal loro punto di vista, in violazione delle convenzioni
internazionali dell'Aia.
Questi sono i fatti. Ai giudici militari, che giudicheranno se soldati tedeschi
e della RSI siano penalmente perseguibili e condannabili, tenendo conto anche,
mi auguro, dell'esecrabile eccidio di Monte Zuccaro, vorrei, però, raccomandare
di impegnarsi al massimo nel quasi impossibile sforzo d'immedesimarsi nello
spirito, nella morale e nelle situazioni di quei tempi.
Per dar loro un metro, mi autodenuncio: io, allora giovane di buona famiglia,
avendo complice un commilitone altrettanto perbene, progettavo l'evasione dal
campo di concentramento tedesco meditando di uccidere un innocente gelataio che
portava i gelati agli ufficiali tedeschi, occultarne il cadavere ed uscire
indisturbati, uno di noi pedalando, con la giacca bianca del morto, l'altro
nascosto nell'ampia gelatiera-triciclo, preventivamente svuotata del suo
contenuto.
Signori giudici del Tribunale militare, se il progetto si fosse realizzato, voi,
a distanza di cinquantatre anni da quel fatto (oggi assolutamente
incomprensibile ed ingiustificabile), certamente mi condannereste all'ergastolo.
Antonio Sulfàro, Genova, Avvocato, colonnello del Corpo della giustizia
militare categoria magistrati
IL SECOLO DI’ITALIA Quotidiano del 16 Aprile 1997